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Sai perché non ti consiglieremo mai latte, fette biscottate e marmellata a colazione?

COLAZIONE CON LATTE, FETTE BISCOTTATE E MARMELLATA? NO, GRAZIE!

VI SPEGHIAMO PERCHE’ PARLANDOVI  DELL’ INDICE E DEL CARICO GLICEMICO.

Tempo di lettura: 3 minuti circa

Molto spesso ci viene detto di tenere sotto controllo il nostro indice glicemico.
Ma sappiamo cosa sia, e soprattutto se è realmente così importante?

Se la risposta è no, non vi resta che continuare a leggere quest’articolo…

DEFINIZIONE

L’indice glicemico (IG) è definito come “la velocità con cui aumenta la concentrazione di glucosio nel sangue (glicemia) a seguito dell’assunzione di 50 gr di zucchero”.
Per sapere quali sono gli alimenti con un IG più alto, o più basso, esistono delle tabelle di classificazione su cui poter fare affidamento.

IL CARICO GLICEMICO

Ma l’indice glicemico non è il solo parametro da tenere in considerazione, anzi, addirittura più importante è il carico glicemico(CG).

Infatti, mentre il primo valuta la velocità di innalzamento dei valori di glucosio sanguigno a seguito del consumo di un alimento glucidico (ma non solo), il carico glicemico stima l’innalzamento degli stessi per una determinata porzione.

Inoltre, volendo considerare solo il primo parametro, si potrebbe pensare che, per prevenire situazioni di iperglicemia, basti semplicemente evitare i cibi con un elevato indice glicemico.

Così facendo, però, si andrebbe inutilmente ad eleminare un vasta gamma di alimenti, che, se consumati in modiche quantità, non causerebbero alcun problema relativo ai valori di glucosio sanguigno.

Pertanto sarà fondamentale parlare di proporzioni: anche cibi con un medio-basso IG possono provocare situazioni di iperglicemia se consumati in grandi quantità; ed è proprio qui che subentra il concetto di carico glicemico (carico glicemico = indice glicemico di un alimento X quantità di carboidrati di quest’ultimo / 100).

Una volta compresa la differenza fra questi due termini, il suddetto discorso deve anche essere contestualizzato all’interno di un’ottica temporale, in base ai ritmi circadiani.

Sappiamo, infatti, che al mattino (“fase attiva” per la maggior parte di noi, esclusi i turnisti, ad esempio) si hanno solitamente elevati livelli di cortisolo, un ormone che determina scarsa sensibilità insulinica.
Questo è uno dei principali motivi per cui noi di SmilEat sconsigliamo la classica “colazione all’italiana”, che sia rappresentata da latte e biscotti, fette biscottate con marmellata o cornetto e cappuccino.

Il loro elevato contenuto di zuccheri determinerebbe un importante picco insulinico, con possibile consequenziale ipoglicemia reattiva: situazione data da livelli glicemici molto bassi , che può essere accompagnata da sintomi come cefalea, tachicardia, ansia, sudorazione, pallore e malessere generale aspecifico; oltre ad una gran fame a poca distanza dal pasto precedente.

A tal proposito, gli zuccheri in eccesso potrebbero innescare un pericoloso circolo vizioso, creando una vera e propria dipendenza: mangiamo molti zuccheri -˃ la glicemia aumenta -˃ interviene il picco insulinico ad azione ipoglicemizzante -˃ la glicemia cala improvvisamente -˃ il cervello (organo glucosio-dipendente) va in crisi e richiede altro zucchero, comunicandolo ai centri ipotalamici della fame e della sazietà -˃ mangiamo zuccheri e così via…

Per questa serie di motivi (e tanti altri non menzionati per non annoiarvi con tecnicismi vari), laddove possibile e compatibile con le esigenze personali, preferiamo dare ai nostri pazienti con una colazione che possa offrire tutti i nutrienti (carboidrati per lo più complessi, proteine e grassi buoni),per una colazione da campioni per davvero.

UN ESEMPIO DI COLAZIONE

Un esempio può essere: yogurt greco (anche intero, l’importante in questo caso è che sia bianco e non fruttato perché appunto ricco di zuccheri), frutta secca e una fonte di carboidrati (preferibilmente integrali). In particolare, il macronutriente più importante da tenere in considerazione è rappresentato, udite udite, dai grassi. Questo in quanto il cortisolo, l’ormone di cui parlavamo prima, stimola l’ossidazione lipidica.

Perciò, mangiando grassi, permettiamo al nostro organismo di “shiftare” verso il loro metabolismo.
In parole povere: consumando per esempio frutta secca, yogurt greco intero, cioccolata fondente o, udite udite (di nuovo) del burro (di ottima qualità), insegniamo al nostro corpo a “bruciare” grassi piuttosto che sempre i soliti zuccheri.
Dunque la chiave per il successo è, come già detto in precedenti articoli, il pasto completo. 

ESEMPIO DI PRANZO

Volendo applicare tale concetto anche al pranzo, un suo esempio può essere:

fonti di CARBOIDRATI: pasta / riso / pane preferibilmente integrali/patate (spesso erroneamente considerate verdura) 

fonti di PROTEINE: carne /pesce / uova / formaggi

fonti di grassi: olio extravergine d’oliva, semi e frutta secca oleosa

Oltre ad una buona porzione di verdura (FIBRE)

In questo modo, le fibre contenute nei cereali integrali e nella verdura (e nei semi/frutta secca) attenueranno i valori di glucosio sanguigno.

Ciò, ovviamente, vale anche per la cena: la credenza che, al termine della giornata, si dovrebbe mangiare di meno è superata, in quanto il nostro organismo, durante la notte, brucia più o meno le medesime calorie consumate durante un’attività sedentaria diurna. Anzi, a dirla tutta, la cena diventa addirittura più importante (e quindi più abbondante) del pranzo per un soggetto che si allena nel tardo pomeriggio, al fine di ripristinare le riserve di glicogeno (esaurite durante l’allenamento stesso) e consentire la supercompensazione, nonché il miglioramento estetico e prestativo.

Ma questo è un argomento davvero molto vasto, che richiederebbe un articolo a parte.

Continuate a seguirci, potreste trovarlo nelle nostre pagine in un futuro non così lontano!

A cura del dott. Adriano Arcuri e della dott.ssa Ludovica Castellini Rinaldi